Il territorio di un quartiere esprime un potenziale, e possiede un patrimonio, che fatica ad essere esibito/fruito come una opportunità turistica (vale a dire, essere visitato e visto da occhi curiosi ma estranei; frettolosi ma ingordi). I luoghi diffusi vanno manutenuti; gli spazi non si trovano facilmente e costano; le rappresentazioni visuali ingombrano (cartelloni, totem, display); le risorse cambiano nel tempo, si precisano e si sovrappongono nel corso dei processi di costruzione dal basso dei contenuti.

Una comunità che si rappresenti “come un museo” chiede di raccontarsi continuamente, di poter utilizzare tutti i contenuti, le risorse di cui dispone.
La questione viene spesso risolta in termini di linguaggio: si scelgono modelli e strumenti di comunicazione univoci e si “piegano” i contenuti a questa forma comunicativa.

Un repertorio viene costruito una volta per tutte (il magazzino dei contenuti), e poi i sistemi di esposizione “pescano da quello”. Molto resta fuori, e soprattutto le novità non entrano facilmente. Il Museo, per quanto tecnologico, digitalizzato sia, in breve tempo si irrigidisce in una struttura fissa. Restano, come espediente, le “mostre” temporanee, che richiedono altro lavoro concentrato nel tempo, con i costi accessori che derivano dal creare ogni volta un nuovo exhibit temporaneo.

Una comunità che scopre la creatività come risorsa generativa di coesione e inclusione sociale, come elemento costruttivo della comunità stessa (creatività auto poietica) necessita di raccontarsi in un modo diverso, dinamico, in continuo movimento, fuori dai vincoli e dagli stereotipi.